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BERT, l’algoritmo che premia i contenuti nel web

31 January 2020
BERT algoritmo google copywriting

Spauracchio e guida al tempo stesso, Google ha segnato l’evoluzione della figura del content editor e del copywriter (almeno di quello digital) degli ultimi tempi. Il lancio di BERT, lo scorso 25 ottobre, è solo l’ultimo capitolo della storia.

Google e scrittura per il web, un rapporto annoso

Non stiamo dicendo nulla di nuovo: da quando Google esiste non solo i SEO specialist, ma anche chi si occupa più specificatamente di scrittura di contenuti per il web sa che deve attenersi ai dettami di Mountain View per sperare che i propri contenuti vengano trovati sul web (e quindi letti). Fin qui, non ci sarebbe niente di male, ma quello che a noi copy era piaciuto molto meno agli albori della liaison fra SEO e copywriting (e chi lo nega non è un copy) era stato il passaggio dal concetto di contenuto a quello di contenitore: per un periodo, infatti, gli articoli richiesti erano, diciamolo senza tanti giri di parole, dei contenitori di keyword o di link, utili ad aumentare la link popularity di un dato sito web.

copywriter-seo-stress

Chi non è proprio di primo pelo ricorderà, senza troppi rimpianti, i tempi dell’Article Marketing: articoli distribuiti in decine di siti aggregatori con link messi alla meno peggio usando delle anchor secche, sfidando in un colpo solo grammatica e sintassi (non una bella cosa, per un copy). Potevi sforzarti di scrivere l’articolo più approfondito, ricco e originale possibile, ma alla fine quello che contava era che il motore di ricerca riconoscesse il link all’interno di un testo con contenuto affine a quello del sito da promuovere, e che a tali link fossero collegate delle anchor con keyword specifiche, con buona pace della struttura della frase. 
Certo, sto semplificando un po’ la questione, ma non possiamo negare che, una decina di anni fa, la qualità e la naturalezza dei contenuti non erano il pensiero dominante di chi doveva promuovere un sito sul web. 

E alla fine arriva BERT

Danny-Sullivan-Google-BERT

Poi, come nelle più belle favole, qualcosa è cominciato a cambiare. E non bisogna mica attendere il 25 ottobre, con il lancio del nuovo algoritmo, uno dei pochi che si chiama proprio come una persona, e non come un animale: BERT (acronimo di Bidirectional Encoder Representations from Transformers). Attivo inizialmente solo negli Stati Uniti (da dicembre in oltre 70 lingue nel mondo, compreso l’italiano) BERT è l’algoritmo che, basandosi sul machine learning, promette di dare una svolta alla ricerca sui motori, avvicinandosi sempre di più alle intenzioni reali degli utenti e, soprattutto, imparando a comprendere sempre di più il linguaggio naturale, ossia quello che usano davvero le persone, e non quello in uso in alcuni contenuti per il web che, per ingraziarsi il motore di ricerca, finiscono per “schifare” il lettore reale. 
Questo significa che, nel momento in cui faremo una ricerca in Google, il motore di ricerca sarà sempre più bravo a interpretare quello che staremo chiedendo (anticipando addirittura le intenzioni che nemmeno noi sappiamo di avere) e, di conseguenza, a restituire contenuti pertinenti, andando così a premiare quelle pagine che contengono del contenuto rilevante più che delle singole keyword usate per ottimizzare il testo, i sottotitoli e così via. Non solo: novità degli ultimi giorni, BERT servirà a Google anche per organizzare meglio le notizie in evidenza relative ad un argomento attuale che compaiono in SERP, non limitandosi più a restituire una serie di news relative a una data query, ma raggruppandole in sottogruppi più specifici. Anche in questo caso, l’obiettivo è facilitare l’utente nel trovare esattamente ciò che sta cercando.  
Inutile dire che, per chi scrive, questo significa principalmente una cosa: scrivi (o continua a scrivere) contenuti rilevanti e di qualità, e sarai trovato da chi cerca quello che offri. 

La qualità premia (e non è una novità)

Non credo che nessuno, leggendo di questo aggiornamento, sia saltato sulla sedia: si tratta sicuramente di una novità da tenere in considerazione (soprattutto se ci si ferma a pensare a quello che promette di fare!), ma non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Sono anni che Google ci indica la strada da seguire, invitandoci a puntare sui contenuti di qualità, sono anni che Google ribadisce la propria missione, ossia restituire contenuti il più possibile interessanti e pertinenti a seconda delle query proposte, e sono anni che, per raggiungere tale obiettivo, Google fa di tutto per comprendere non solo il significato delle singole keyword, ma anche le connessioni che intercorrono tra di loro, per arrivare alla comprensioni di intere frasi. BERT darà un forte impulso proprio all’interpretazione delle connessioni fra le parole: sul blog ufficiale di Google, nell’articolo che annuncia il lancio di BERT, Pandu Nayak mette subito le cose in chiaro, affermando che “At its core, Search is about understanding language.”

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La prima considerazione derivante dal lancio di BERT potrebbe essere: adesso potremmo tornare a scrivere in modo naturale, infischiandocene di keyword e compagnia bella, tanto ci penserà BERT a capire che quello che scriviamo è proprio quello che serve ad un dato utente.
C’è qualcosa di estremamente sbagliato, però, in tale considerazione: se fino ad ora abbiamo scritto contenuti puramente in ottica SEO, pensando solo a renderli leggibili al motore di ricerca e non ai lettori reali, siamo stati molto poco lungimiranti e poco attenti a quello che Google ci ha continuato a dire in tutto questo tempo. Al contrario, chi era già abituato a scrivere contenuti per il web puntando sulla qualità e non solo sulla ricerca keyword, probabilmente sta già facendo qualcosa di positivo. BERT segna sicuramente una tappa importante, ma si inserisce in modo naturale in una sequenza di cambiamenti e implementazioni che Google sta portando avanti da quando esiste. Già nel 2009 Eric Schmidt affermava: “Wouldn’t be nice if Google understood the meaning of your phrase, rather than just the words that are in the phrase?”. 
Emblematica, in questo senso, è anche una risposta di Danny Sullivan su Twitter, in cui ribadisce che, con l’avvento di BERT, non c’è proprio un bel niente da ottimizzare, né strategie da cambiare, dato che l’obiettivo di Google non è cambiato, e rimane quello di fare in modo di premiare i contenuti di qualità:

Danny-Sullivan-twitter-BERT

Vogliamo parlare poi dello zoo di Google? Google Panda, nel 2011, era stato lanciato con la missione di ridurre il posizionamento di siti con contenuti di bassa qualità, perché duplicati da altri siti o semplicemente di poco valore e poco utili per gli utenti, valorizzando al contrario quei siti che si basavano su contenuti originali e approfonditi. L’anno dopo toccò aPenguin portare avanti la crociata pro qualità di Google, andando a punire i siti ritenuti spammosi perché affetti da keyword stuffing o altre tecniche black hat. La novità più sostanziosa arrivò l’anno dopo, nel 2013, conHummingbird, il nuovo algoritmo di Google che, oltre a rafforzare le ricerche locali, diede una decisa sferzata verso la modalità di ricerca umana, arrivando a capire con più precisione l’intenzione degli utenti dietro la query. 
Questi ed altri aggiornamenti portati avanti da Google negli anni erano inseriti nello stesso disegno in cui oggi va ad inserirsi BERT: in questo senso l’ultima novità da Mountain View è sorprendente, sì, soprattutto per le potenzialità che cela, ma per chi si occupa di contenuti lo è fino ad un certo punto. Scrivere contenuti di qualità, in modo naturale per essere appetibili per gli utenti e non solo per i motori di ricerca è un mantra che si ripete da anni, quindi già da un po’ siamo grati a Google per gli sforzi che sta facendo (e che continuerà a fare) in questo senso, in quanto utenti, certo, ma anche e soprattutto in quanto copy!